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Le modifiche
La legge 18 giugno 2009, n. 69, con efficacia a decorrere dal 4 luglio 2009, ha inteso rinnovare il processo civile attraverso la riduzione e la semplificazione del processo civile di cognizione.
La novella ha in particolare operato molteplici abbreviazioni di termini mirando a ridurre la durata
del giudizio, onerando le parti di adempimenti in tempi più rapidi e frustrando eventuali intenti dilatori (si veda, ad esempio, il novellato art. 307 sull’estinzione del processo per inattività delle parti, dichiarabile dal giudice anche d’ufficio); ha altresì opportunamente integrato alcuni articoli del Codice di rito (tra cui, al secondo comma, l’art. 182 c.p.c. sulle conseguenze del difetto di rappresentanza, assistenza e autorizzazione). La novella legislativa ha fissato termini più brevi per riassumere il processo che, per vari motivi, un blocco per abbreviarne i tempi.
A oggi, pertanto, le parti sono chiamate ad attivarsi in maniera tempestiva per evitare che il giudice, anche d’ufficio, ne dichiari l’estinzione; devono quindi notificare l’atto di riassunzione, completo di ogni suo elemento, al destinatario (o destinatari) non appena abbiano obiettiva conoscenza della ragione che ha determinato la sospensione e/o interruzione del giudizio.
le varie ipotesi di riassunzione e le conseguenze
L’intervento legislativo ha innanzitutto ridotto alla metà (da sei a tre mesi, decorrenti dalla comunicazione dell’ordinanza di regolamento o dell’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito) il termine per la riassunzione della causa dinanzi al giudice dichiarato competente (art. 50 c.p.c., sempre che non sia determinato dal giudice un termine diverso).
Parimenti passano da sei a tre mesi i termini sia per la richiesta di fissazione dell’udienza di prosecuzione dopo la cessazione della causa di sospensione o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’art. 295 c.p.c. (art. 297 c.p.c.), sia per la
prosecuzione o riassunzione del processo interrotto (art. 305 c.p.c.).
Ugualmente tre mesi (anziché un anno) – decorrenti dalla scadenza del termine per la costituzione del
convenuto a norma dell’art. 166 c.p.c. o dalla data del provvedimento di cancellazione della causa
disposta dal giudice – è l’arco temporale decorso il quale si produce l’estinzione del processo per inattività delle parti (art. 307, comma 1, c.p.c.), così come quello che il giudice è autorizzato a fissare ai sensi del comma 3 del medesimo articolo (prima stabilito in un anno). Tre mesi è il termine massimo
che il giudice può concedere per la sospensione del giudizio su istanza delle parti ex art. 296 c.p.c. In caso di rimessione della causa al primo giudice per ragioni di giurisdizione, l’art. 353 c.p.c. dispone che le parti – ove il giudice d’appello, riformando la sentenza di primo grado e affermando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice – devono riassumere il processo nel termine perentorio
di tre mesi (invece di sei) dalla notificazione della sentenza medesima (termine conseguentemente
applicabile anche per rinvio ex artt. 354 e 383 c.p.c.).
Diventa di tre mesi (e non più di un anno) dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione,
il termine entro cui, ex art. 392 c.p.c., deve riassumersi la causa davanti al giudice di rinvio.
Viene altresì dimezzato (da un anno a sei mesi) il termine di decadenza per la proposizione delle impugnazioni di cui all’art. 327 c.p.c. (appello, ricorso per cassazione e revocazione per motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.): il termine de quo decorre dalla pubblicazione – in assenza di
notifica della stessa – ed è soggetto (secondo le regole generali) alla sospensione feriale.